Settebello Siviglia, Mou si inchina ai rigori
Gli andalusi conquistano la settima finale europea su sette giocate della loro storia. Decisivi gli errori di Mancini e Ibanez dal dischetto.

Se per il Real Madrid la coppa più blasonata d'Europa è casa, l'Europa League lo è per il Siviglia. Anche lo Special One è stato anestetizzato e si è dovuto arrendere agli andalusi dopo oltre 140 minuti di partita.
In una Puskas Arena ribollente, con oltre 25 mila supporters romanisti, Mourinho non ha rinunciato al suo gioiello, Paulo Dybala, schierato insieme a Pellegrini alle spalle di Abraham nel solito 3-4-2-1. Mendilibar, dal canto suo non ha rinunciato a Oliver Torres sulla trequarti, preferito agli ex "italiani" Suso e Lamela.
Dopo un'occasione importante per Spinazzola da centro area parata senza grandi patemi da Bounou, la Joya colpisce. Mancini dopo un pallone recuperato regolarmente da Cristante sul leggero Rakitic, imbuca Dybala che controlla e calcia con il mancino a incrociare freddando Bounou, 1-0.
Il Siviglia, abituato a certi palcoscenici, è sornione e non gioca un bel primo tempo. Solo una volta si affaccia dalle parti di Rui Patricio, ed è il palo a salvare il portoghese sul mancino affilato di Rakitic dalla distanza. Primo campanello d'allarme per Mou e si va al riposo.
Quasi a dimostrare come questa competizione sia casa per gli andalusi, 5 minuti dopo il rientro in campo dall'intervallo arriva l'episodio che cambia la partita. Una Roma apparentemente in controllo, si fa fuoco amico con Mancini sul cross di Navas, autogol goffo e Rui Patricio battuto, 1-1.
La partita è equilibrata, non è una finale bellissima dal punto di vista del gioco e lo sapevamo, entrambe le squadre non sono famose per giocare un bel calcio. Ma è pur sempre una finale, l'agonismo in campo c'è ed è tantissimo, così come la tensione tra le due panchine.
Sì, proprio le panchine. Saranno loro a fare la differenza in questo finale. Mou se n'è più volte lamentato della rosa non adeguata della Roma nella sua interezza per competere a certi livelli, eppure con la tenacia, lo spirito di gruppo e la coesione ha raggiunto un risultato incredibile come la finale di Europa League. Ma oggi serviva qualcosa in più e i limiti si sono palesati.
Escono uno stremato e encomiabile Dybala (migliore in campo), Abraham, Spinazzola e Pellegrini. Al loro posto dentro gli impalpabili Wijnaldum, Belotti, Llorente ed El Shaarawy. Mendilibar, invece, all'intervallo si gioca le carte Lamela e Suso che già alla Juventus fecero male, al posto di Torres e Gil.
Il finale ai rigori è una sceneggiatura già scritta, che prova a sovvertire Smalling sul finire del secondo tempo supplementare ma è la traversa a dirgli di no. Ci mette del suo anche l'arbitro inglese Taylor, con qualche scelta discutibile che grazie al benedetto VAR viene cambiata e non incide sul risultato finale del confronto.
Si giunge alla lotteria dei rigori e qui si materializza il patatrac romanista. In una serata non particolarmente felice per Mancini, responsabile dell'autogol decisivo ai fini dell'andamento della partita, la Roma come nei peggiori libri del sado-masochismo decide di autodistruggersi.
Assodata la qualità e la tecnica indiscutibile di calciatori come Ocampos, Lamela e Rakitic, ovviamente presentati da Mendilibar come primi 3 rigoristi, Mourinho (forse in accordo con i propri calciatori) decide di schierare Cristante, Mancini e Ibanez. Scelta incomprensibile.
Due difensori centrali che non eccellono per le proprie qualità tecniche, anzi, vengono schierati rispettivamente come secondo e terzo rigorista in una finale di Europa League, nonostante vi fosse la possibilità di far calciare a El Shaarawy, Belotti, Wijnaldum, Zalewski. Di chi sia la responsabilità di questa scelta poco importa, anche parlando di responsabilità venuta a mancare di certi giocatori nel voler battere il rigore, Mourinho avrebbe dovuto imporsi come è abituato a fare e far battere i rigori ai calciatori più tecnici.
E invece così non è andata e il rimpianto c'è e sarà dura da digerire perché perdere una finale per un harakiri materializzatosi in un autogol e una scelta scellerata dei rigoristi non è poco. Montiel nel mentre, ha deciso un'altra finale dal dischetto dopo quella dei Mondiali in cui regalò il titolo all'Argentina.
Per gli andalusi una stagione pazza passata dalla paura per la retrocessione al trionfo di questa notte in terra ungherese, conclusasi in modo irrazionale perché di razionale in questa stagione del Siviglia non c'è stato nulla, anzi sì, la vittoria del suo trofeo, l'Europa League.
Mela avvelenata anche per il Bari, il Sudtirol continua a stupire
Gli altoatesini si aggiudicano l'andata del secondo turno dei playoff 1-0, decide Rover

Continua la favola del Sudtirol che inanella il secondo 1-0 di fila al Druso dopo quello di 3 giorni fa contro la Reggina nel primo turno dei playoff.
La squadra di Bisoli ha mostrato nuovamente i muscoli e grazie alla compattezza che l'ha contraddistinta durante questa stagione, si è aggiudicata il primo round nella sfida contro il Bari di Mignani.
A differenza del match contro la Reggina di Pippo Inzaghi, nella quale i calabresi oltre a colpire un legno misero a ferro e fuoco la difesa degli altoatesini, senza però trovare la via del gol, oggi le emozioni sono state con il contagocce fino al 92'.
Bisoli propone il solito 4-4-2 rognoso per gli avversari, con 3 cambi rispetto al match di venerdì. Vinetot, Lunetta e Mazzocchi prendono il posto di Masiello, Rover e Cissè, un cambio per reparto.
Mignani invece si affida a un 4-3-1-2 particolarmente offensivo, con Sebastiano Esposito alle spalle della coppia Antenucci-Cheddira, dimostrando di voler aggredire la partita.
E in effetti il primo tempo vede i tentativi da parte di Antenucci e Cheddira, che provano a sollecitare Poluzzi senza creare grossi pericoli. A dimostrazione dell'ormai assodata tattica messa in campo dal Sudtirol, i padroni di casa si affacciano dalle parti di Caprile addirittura al 38' con un innocuo cross di De Col.
Nel secondo tempo ci provano prima Mazzocchi e poi Cheddira, in un botta e risposta che non sortisce particolari grattacapi ai portieri avversari. L'ingresso di Rover spacca la partita. Da un suo cross parte l'azione che, complice l'intelligente sponda di Odogwu per il rimorchio di Mazzocchi, porta quest'ultimo al tiro da centro area. La palla esce di un metro alla destra del palo della porta difesa da Caprile.
È il preludio al gol. Il deja-vu contro la Reggina è servito, Casiraghi stavolta fa l'assist, Rover incorna e per Caprile non c'è nulla da fare. Mignani è gelato così come Inzaghi tre giorni fa.
Il gol di Casiraghi però valse la qualificazione, quello di Rover chissà. Tra 72 ore si replica in un San Nicola che già ribolle di passione e voglia di Serie A e spingerà i galletti che dovranno obbligatoriamente vincere nei tempi regolamentari. Il Sudtirol intanto prepara nuovamente la linea Maginot, che per ora è stata inespugnata.
Le Eurorivali delle italiane

Sono state sorteggiate ieri mattina a Nyon, le avversarie in Europa delle 6 squadre italiane qualificatesi al turno a eliminazione diretta.
Equamente suddivise, 3 nella massima competizione europea per gli ottavi di finale e 3 in Europa League per i sedicesimi.
Ma andiamo a scoprire nel dettaglio le avversarie delle italiane in Champions League:
PORTO-Juventus; Lazio-BAYERN MONACO; Atalanta-REAL MADRID.
PORTO: difficoltà ★ ★ ★
-allenatore: Sergio Conceicao; modulo 4-4-2
-percorso stagionale: La squadra portoghese abituata a numerosi successi nell'ultimo decennio in patria, occupa attualmente il terzo posto alle spalle del Benfica, a -4 dallo Sporting capolista. Non il solito avvio da leader, ma neanche un inizio fallimentare. In Champions il Porto, nel suo girone si è classificato secondo alle spalle del Manchester City, che è stata l'unica squadra con cui ha perso finora, per 3-1 all'Etihad, 0-0 invece al ritorno al Dragao. Spiccano le vittorie sia in casa che in trasferta, contro Marsiglia e Olympiacos, sempre avversari con campi ostici seppur a porte chiuse causa pandemia.
-un nome per ruolo: Difesa: Zaidu Sanusi; Centrocampo: Luis Diàz; Attacco: Moussa Marega
-formazione tipo: Marchesìn: Manafa-Mbemba-Pepe-Sanusi; Corona-Sergio Oliveira-Uribe-Otavio; Marega-Dìaz
BAYERN MONACO: difficoltà ★ ★ ★ ★ ★
-allenatore: Hans Flick; modulo: 4-2-3-1
-percorso stagionale: Gli autori del triplete nella scorsa stagione, sono sorprendentemente secondi in Bundesliga, appaiati con il Lipsia alle spalle della capolista Leverkusen, che gode di un vantaggio di un solo punto. Abituato a dominare il Bayern, ha dovuto far fronte a numerosi infortuni, somatizzati con il lancio (anche in campo europeo) di nuovi giovani talenti, vedi Musiala classe 2003. In Champions League, in un girone abbastanza abbordabile, i bavaresi hanno dettato legge, così come devono fare i campioni in carica, ottenendo 5 vittorie e un solo pareggio al Wanda Metropolitano, con tante riserve in campo.
-un nome per ruolo: Difesa: Alphonso Davies; Centrocampo: Leon Goretzka; Attacco: Robert Lewandowski
-formazione tipo: Neuer: Pavard-Boateng-Alaba-Davies; Kimmich-Goretzka; Gnabry-Muller-Coman; Lewandowski
REAL MADRID: difficoltà ★ ★ ★ ★
-allenatore: Zinedine Zidane; modulo: 4-3-3
-percorso stagionale: Partenza a singhiozzo per i Blancos in campionato, una delle peggiori degli ultimi 15 anni. Le grandi squadre però sanno subito rialzarsi nei momenti difficili, e così ha fatto il Madrid che ora si trova nelle prime posizioni a -3 dalla Real Sociedad con una gara da recuperare, e a -3 dai cugini Colchoneros che però hanno una gara in meno. In Champions League lo spartito è stato il medesimo, brutte debacle come le due sconfitte con lo Shakhtar, e vittorie senza appello 0-2 a San Siro contro l'Inter, e 2-0 a Valdebebas contro il Moenchengladbach.
-un nome per ruolo: Difesa: Sergio Ramos; Centrocampo: Federico Valverde; Attacco: Karim Benzema
-formazione tipo: Courtois: Carvajal-Ramos-Varane-Mendy; Valverde-Casemiro-Modric; Rodrygo-Benzema-Hazard
Passiamo alle avversarie delle italiane in Europa League:
STELLA ROSSA-Milan; BRAGA-Roma; GRANADA-Napoli.
STELLA ROSSA: difficoltà ★ ★ ★
-allenatore: Dejan Stankovic; modulo: 4-2-3-1 o 3-4-2-1
-percorso stagionale: Squadra storica del calcio serbo e europeo, in patria si divide il trono con gli acerrimi rivali cittadini del Partizan di Belgrado. In campionato sono 9 i punti di vantaggio proprio sui bianconeri, frutto di 16 vittorie, 2 pareggi e 0 sconfitte. Nel girone di Europa League il percorso è stato leggermente più tortuoso, seppur ottimo, con una sola sconfitta in 6 giornate. Il sorteggio con Hoffenheim, Gent e Slovan Liberec non garantì ai nastri di partenza una qualificazione sicura, che invece poi è stata raggiunta, senza grandi patemi.
-un nome per ruolo: Difesa: Milan Gajic; Centrocampo: Mirko Ivanic; Attacco: El Fardou Ben
-formazione tipo: Borjan; Gajic-Milunovic-Degenek-Rodic; Sanogo-Ivanic; Katai-Kanga-El Fardou Ben; Falcinelli
SPORTING BRAGA: difficoltà ★ ★ ★ ★
-allenatore: Carlos Carvalhal; modulo: 4-3-3
-percorso stagionale: Un avvio tutto sommato buono quello del Braga nel massimo campionato portoghese. Quarto posto in classifica a -5 dallo Sporting Lisbona, quest'ultimo rullo compressore in quest'inizio di stagione e ancora imbattutto. Nota di merito per gli uomini di Carvalhal vittoriosi per 2-3 in casa del Benfica. In Europa la squadra ha proseguito sulla falsariga del campionato, ottenendo la qualificazione ai sedicesimi facilmente, arrivando addirittura a pari punti con il Leicester primo. Purtroppo per i portoghesi sono stati gli scontri diretti, (sconfitta al King Power Stadium e pareggio in casa), a relegarli al secondo posto nel girone.
-un nome per ruolo: Difesa: Ricardo Esgaio; Centrocampo: Wenderson Galeno; Attacco: Ricardo Horta
-formazione tipo: Matheus; Ricardo Esgaio-Bruno Viana-Tormena-Sequeira; Ali Elmusrati-Andrè Castro-Fransergio; Ricardo Horta-Paulinho-Wenderson Galeno
GRANADA: difficoltà ★ ★ ★ ★
-allenatore: Diego Martinez; modulo: 4-1-4-1
-percorso stagionale: L'ex squadra dei Pozzo sta vivendo il periodo di suo massimo splendore. Il settimo posto in campionato dello scorso anno, ha permesso al Granada di accedere alle fasi preliminari per la qualificazione alla fase a gironi di Europa League. Obiettivo raggiunto, e addirittura superato, con la qualificazione ai sedicesimi in un girone non facile con Psv, Paok e Omonia Nicosia. Sono stati proprio i greci a farne le spese, insieme ai ciprioti, per gli spagnoli una sola sconfitta in casa contro il Psv. In campionato il percorso continua a essere ottimo, nonostante la concomitanza dell'impegno europeo, gli andalusi si trovano al sesto posto in classifica.
-un nome per ruolo: Difesa: Carlos Neva; Centrocampo: Yangel Herrera; Attacco: Javier Sùarez Chàrris
-formazione tipo: Rui Silva; Foulquier-Sànchez-Vallejo-Neva; Gonalons-Milla; Puertas-Herrera-Machìs; Sùarez Chàrris
Il bomber che non ti aspetti

Il mese di Giugno del 2012 è ricordato dai tifosi dei Glasgow Rangers come la parte più triste della storia della loro gloriosa società.
Esattamente 140 anni dopo la fondazione assistono al fallimento della propria squadra, con conseguente retrocessione in Scottish League Two (quarta serie), che costrinse i rivali dei Celts alla risalita per ritornare ai vertici del calcio scozzese, conclusasi nel 2016 con la promozione in Premiership.
Glasgow è la città del football scozzese, con i Rangers e il Celtic protagonisti di una lunga e storica rivalità, che va in scena in uno dei derby più antichi e affascinanti al mondo, l'Old Firm.
Teatri di queste battaglie epiche, gli impianti delle due squadre, rispettivamente l'Ibrox Stadium e il Celtic Park, da sempre rinomati per la fantastica atmosfera che si crea al loro interno.
Sarebbe riduttivo identificare la rivalità tra queste due squadre, solo dal lato puramente calcistico e cittadino, infatti in questo derby entra in gioco molto di più, l'identità nazionale scozzese.
Nell'ottica generale il Celtic è la squadra degli irlandesi immigrati o nati in Scozia, di fede cattolica, mentre i Rangers sono supportati da scozzesi nativi, di fede protestante.
Mentre il Celtic faceva incetta di trofei, tra campionati e coppe nazionali, i Rangers come detto in precedenza nel quadriennio 2012-2016, annaspavano nelle sabbie mobili delle serie inferiori.
C'è un arrivo però, che ha cambiato la storia recente dei Glasgow Rangers. Chiunque si aspetterebbe un giocatore, invece lui giocatore (e che giocatore) non lo è più, perchè ha appeso gli scarpini al chiodo.
Nel 2018 arriva in panchina la leggenda dei Reds di Liverpool, Steven Gerrard.
Con lui in panchina i tifosi dei Rangers tornano ad assaporare la possibilità di dare filo da torcere ai concittadini, come dimostrano i due secondi posti ottenuti negli ultimi due campionati.
La squadra di Glasgow torna a dire la sua anche in campo europeo, uscendo lo scorso anno agli ottavi di finale di Europa League, dopo aver disputato un ottimo torneo.
Quest'inizio di stagione parla di un avvio spaventoso (in senso positivo) dei Rangers. In 16 partite di campionato sono 14 le vittorie, 2 i pareggi e come è facilmente intuibile vi è segnato lo 0 nella casella delle sconfitte.
Ancora più clamorosi i gol subiti appena 3, e quelli fatti 45. Gran parte dei meriti di questi numeri sono del ragazzo in foto, James Tavernier.
Classe 1991, capitano dei Glasgow Rangers, 16 gol e 12 assist in questo avvio di stagione, professione terzino destro.
È proprio l'ultima voce a suscitare incredulità visti i numeri e la posizione ricoperta da questo giocatore.
Sicuramente essere il rigorista della squadra designato da Steven Gerrard, lo ha aiutato nel raggiungere queste cifre, ma è proprio la propensione offensiva, la tecnica, la velocità e la capacità di arrivare a chiudere l'azione che fanno di Tavernier, in questo momento uno dei terzini più influenti al mondo.
In un ruolo che sta notevolmente cambiando, vedi i vari Alexander Arnold, Robertson, Hakimi, Theo Hernandez, Cuadrado, Mendy, dove i vecchi terzini sono sempre più "ali", il 29enne inglese sta vivendo la sua miglior annata della carriera.
Chissà se Gareth Southgate (ct dei Tre Leoni) non ci faccia un pensiero per una possibile convocazione, intanto Tavernier continua ad arare le fasce dei prati dei campi scozzesi, sfornando gol e assist come farebbe il bomber che non ti aspetti.
D10S

In determinati articoli talvolta è difficile trovare il titolo giusto, in altri addirittura le parole adatte a fungere da contenuto nell'articolo stesso. E questo è uno di quei casi.
Esistono delle figure talmente impattanti e predominanti a livello internazionale per il loro vissuto, che sembra quasi impossibile ritrovarsi a commentare una loro scomparsa.
Questo è quello che si va a formare nel subconscio dei cosiddetti "comuni mortali", ma anche queste icone non sono esenti da debolezze, vizi e scheletri nell'armadio.
Diego Armando Maradona è l'esempio calzante di tutto ciò, genio e sregolatezza, dr. Jekyll e Mr. Hyde. Sia in campo che nella vita di tutti i giorni.
E forse è stata proprio questa sua debolezza, ad averlo fatto cadere nel vizio della droga e dell'alcol, imprescindibili fattori determinanti della sua morte così prematura.
Come recita una frase di un importante film, "da grandi poteri derivano grandi responsabilità", e Diego il potere lo aveva ricevuto in dono fin dalla nascita. Sarebbe diventato il Dio del calcio.
Le responsabilità sono sorte successivamente, perchè quel piccolo bambino che si vede palleggiare con una tecnica sublime nel video realizzato nel suo barrio di Villa Fiorito, è ancora inconsapevole di ciò che li riserverà la vita.
Sarà la bandiera di una nazione, di due popoli (argentino, napoletano), di tutti gli amanti del calcio, e sarà un'icona a livello mondiale.
Le sue gesta in campo, che regalarono alla Selecciòn il Mondiale del 1986, lo fecero entrare definitivamente nel cuore di tutti gli argentini.
Quel Mondiale lo vinse a modo suo, praticamente da solo, fedele al suo essere un po' dr. Jekyll e un po' mr. Hyde, realizzando una doppietta nei quarti di finale all'Inghilterra.
Il primo gol di mano, ancora ricordato come il furto forse più grande della storia del calcio, per la modalità e per la portata di quel gesto. Un gol incredibile per la furbizia e per la scaltrezza con le quali Maradona toccò quel pallone di mano e lo mise in rete. La mano de D10S.
Il secondo gol di piede, e che gol. Forse il più bello della storia del calcio. Qui si parla di un gol dove Maradona partendo da centrocampo, dribbla 5 avversari compreso il portiere, e segna.
Vuoi o non vuoi si parla sempre di Maradona nel bene e nel male.
Regala all'Argentina la semifinale, che poi diventerà finale e vittoria del Mondiale, eliminando l'Inghilterra acerrima nemica in quegli anni anche dal punto di vista bellico, nella contesa delle Isole Falkland.
El Pibe de Oro, così come venne ribattezzato per le sue gesta in campo, è amato soprattutto per la sua generosità.
Come spiegato dal giornalista a lui tanto caro e vicino, Luis Ventura, Maradona era solito pagare di tasca sua i premi ai suoi giocatori, arrivando talvolta, con borsoni pieni di contanti e gioielli.
Gioielli che lui era solito indossare: orologi, collane, bracciali che per la loro bellezza non erano esenti da complimenti. <<"Bastava dirgli quanto fossero belli che lui se li sfilava e li donava">>.
Maradona si dice sia morto in povertà, forse per la sua generosità, forse per i suoi vizi, ma sicuramente per le cattive amicizie che lo hanno circondato nel corso della sua vita e della sua carriera.
Per il buon animo della persona che era Diego, era facile stargli vicino, e tanti sciacalli ne hanno approfittato facendo sprofondare Maradona nei suoi anni più bui, da cui ha provato a rialzarsi più volte, senza un successo netto.
La portata delle pressioni a livello mediatico e nella vita di tutti i giorni, a cui era sottoposto Maradona, forse sono state troppo pesanti per lui.
Egli non era una figura iconica a livello mondiale solamente per il calcio, lo era anche e soprattutto dal punto di vista sociale.
Esempio i due popoli a lui più cari e più cari a lui, il popolo argentino e quello napoletano, talmente simili per calorosità e approccio alla vita, quanto distanti geograficamente, di cui è stato e sarà sempre il comune denominatore.
Di Diego era amata soprattutto la schiettezza nel parlare, nel non nascondersi dietro a delle finte maschere, e nello stare sempre dalla parte di chi nella vita aveva raccolto meno, a prescindere dalle motivazioni.
Il presidente del Napoli, Aurelio de Laurentiis, ha già dichiarato che lo stadio San Paolo verrà rinominato in suo onore.
Nel buio della notte, nel giorno della sua morte, a La Bombonera, il primo vero e proprio teatro di Diego, c'era solo una luce accesa ad illuminare lo stadio e che continuava a brillare, la sua.
Questo rende l'idea di chi è stato e sarà per sempre nel cuore di tutti, anche dei suoi detrattori,
Diego Armando Maradona.
Calcio e politica nuovamente a confronto

Perù-Argentina non sarà mai una sfida qualunque non solamente per la classifica, ma anche e soprattutto per il clima nella quale questa partita si svolgerà, e per i suoi risvolti storici.
È la gara che produsse 56 anni fa la tragedia più grande della storia del calcio. Allo stadio Nacional de Lima i tifosi che accedono agli spalti sono circa 60 mila, nonostante l'impianto abbia una capienza di 45-50 mila posti.
Ci si gioca l'accesso alle Olimpiadi di Tokyo, solamente due posti per 3 nazionali, in ordine Argentina, Brasile e Perù. È facilmente intuibile come i padroni di casa si stessero giocando la classica partita del "dentro o fuori".
Dopo essere passata in vantaggio l'Argentina con rete di Manfredi, il Perù assedia la porta dell'Albiceleste, e riesce nel proprio intento di trovare il pareggio con Lobatòv. Tuttavia però a sferzare gli animi dei 60 mila del Nacional de Lima è l'arbitro Pazos, che annulla il gol per una gamba tesa di Lobatòv.
Due soggetti ben noti alle forze dell'ordine peruviane del periodo, "El Negro Blanco" e Edilberto Cuenca invadono il campo cercando di raggiungere l'arbitro, e da lì scatta il finimondo.
Le squadre vengono fatte rientrare negli spogliatoi, e il duello tra tifosi e polizia inizia. Il comandante Azambuja procede alla chiusura di tutte le possibili uscite dello stadio, i tifosi rispondono invadendo il campo, e la polizia reagisce con lacrimogeni e cani tra la folla.
Il bilancio della mattanza è irreale, sono 328 i morti per un gol annullato, e molti di questi corpi vennero gettati senza alcuno scrupolo in una fossa comune. È questa fino ad oggi da considerare, la più grande tragedia calcistica mai esistita.
A distanza di anni l'arbitro Pazos ammise il suo errore, che per una combinazione di comportamenti completamente sbagliati produsse questo disastro.
Archiviato il precedente passiamo all'attualità.
A Lima, calcio d'inizio ore 21:30 locali di mercoledì notte, la "Blanquirroja" è chiamata a reagire alle due sconfitte di fila rimediate contro Cile e Brasile, se vuole lottare almeno per il 5º posto, garanzia di spareggio per i Mondiali 2022.
Anche l'Albiceleste non vive un periodo semplice, dopo lo scialbo 1-1 ottenuto a "La Bombonera" contro il Paraguay. Questo risultato unito alla vittoria del Brasile, comportano la perdita del primo posto a vantaggio proprio dei verdeoro.
Come spesso accade calcio e politica entrano in contatto, infatti il match si disputerà in un clima infernale. Gli scontri e i disordini in piazza tra le due fazioni, una a sostegno dell'ex presidente Vizcarra, e l'altra a sostegno del neopresidente eletto Merino, hanno portato alle dimissioni di quest'ultimo.
La Conmebol (la Uefa sudamericana) si è già espressa in merito al monito del "Si va avanti!". Difficilmente nonostante i vari disordini politici che turbano i Paesi sudamericani, il calcio si è fermato. Ricordare nel 2018 l'assalto dei tifosi del River al bus dei giocatori del Boca, prima della finale di Copa Libertadores, che addirittura comportò lo spostamento della sede della finale, in Europa, a Madrid.
I precedenti sono 51 e nettamente a favore dell'Argentina con 32 vittorie, 14 pareggi e le restanti vittorie del Perù. Perfetto equilibrio negli ultimi due precedenti con due pareggi, 2-2 in terra peruviana, 0-0 a La Bombonera. L'ultima vittoria Albiceleste è risalente alle qualificazioni ai Mondiali Brasile 2014, per 3-1 con doppietta di Lavezzi e il sigillo di Palacio.
Il Perù non vince contro l'Argentina addirittura dal 1997, erano i quarti di finale di Copa America e quella vittoria ebbe un peso specifico più importante.
Una vittoria mercoledì però, forse darebbe un pò di respiro a questa nazione, che ha la necessità di ritrovare unione e coesione sotto la propria bandiera, "La bandiera della liberta".
L'uomo del momento: La pantera ecuadoriana

Risale alla prima metà degli anni 1930 il termine "Zona Cesarini" coniato dal giornalista Eugenio Danese. Attualmente esso può essere ripreso sostituendo il secondo addendo, tanto il risultato non cambia.
Parliamo di Zona Caicedo.
Felipe nasce a Guayaquil nel settembre del 1988 e la sua carriera è stata tipica del cosiddetto giramondo. In ordine: Basilea, Manchester City, Sporting Lisbona, Malaga, Levante, Lokomotiv Mosca, Al Jazira ed Espanyol sono state le mete toccate dalla pantera ecuadoriana.
Mai più di tre anni nella stessa squadra con il compito di subentrare dalla panchina e segnare nei minuti finali gol decisivi. È e continua ad essere questo il leitmotiv della carriera di questo ragazzo.
Nel 2017 Igli Tare, che di intuizioni giuste ne ha avute tante da quando fa il ds, lo porta a Roma sponda biancoceleste, per ricoprire (guarda caso) il ruolo di vice Immobile. Felipe svolge i suoi compiti talvolta male ma tante volte bene, segnando gol pesanti soprattutto nei minuti finali.
Ultimo in ordine cronologico, il gol del pareggio al 95' contro la Juventus nell'appena trascorsa giornata di campionato, ripetendosi dopo aver abbattuto l'altra squadra di Torino la settimana precedente al 98'.
Nel mezzo il gol decisivo del pareggio a San Pietroburgo in Champions League al minuto 82.
L'ecuadoriano è una costante, e Inzaghi lo sa bene, vedere per credere la spinta dell'allenatore laziale a Marusic con la quale indica al montenegrino il servizio per Correa, da cui poi scaturirà l'assist per il pareggio di Caicedo.
Immobile e Felipe sono andati a segno 12 volte nell'extra time in 4 anni. Numeri da paura.
La pausa per le nazionali è arrivata, e il Crotone prossimo avversario dei biancocelesti, può tirare un sospiro di sollievo.
Ma la pantera è già pronta per i minuti finali, classico di chi come ruolo ha quello del predatore.
Conte-Eriksen e quel feeling
mai sbocciato

Se Copenaghen ha la sua "Sirenetta" come monumento, la Danimarca di fede calcistica, parallelamente, ha come monumento contemporaneo lui, Christian Eriksen. Pochettino ai tempi degli Spurs lo soprannominò "Golazo" per la capacità del danese di segnare gol splendidi. È considerato uno dei pochi veri trequartisti rimasti in circolazione, e spesso è stato paragonato all'icona del calcio danese Michael Laudrup.
Muove i primi passi tra Middelfart e Odense, sarà poi l'Ajax, che di giovani se ne intende parecchio, ad aggiudicarselo nel 2008 per 1 simbolico milione di euro. Esordirà nel 2010 in Eredivisie e Europa League con la maglia dei lancieri, per poi restare fino al 2013, facendo incetta di campionati e coppe d'Olanda.
Poi il trasferimento al Tottenham per 13,5 milioni di euro, nessun trofeo vinto ma una crescita esponenziale dal punto di vista tecnico e della personalità, culminata con la finale di Champions League 2019 poi persa contro il Liverpool.
È invece storia recente, il passaggio lo scorso Gennaio all'Inter per 20 milioni di euro, dopo una trattativa estenuante, dove ha prevalso la volontà di calciatore e società di sposare insieme il nuovo ambizioso progetto della banda contiana.
Dopo essersi presentato con una punizione da fantascienza nel derby che per sua sfortuna si stampò all'incrocio dei pali, quasi parallelamente allo scoppio della pandemia da Covid-19, il danese è incappato in varie prestazioni sottotono che conseguentemente lo hanno relegato in panchina, in un ruolo per lui assai sconosciuto, quello di comprimario.
Neanche alla ripresa, con un'Inter spedita nella fase finale dell'Europa League, il tecnico di Lecce lo vede e il minutaggio continua a scarseggiare. Neppure in finale contro il Siviglia, Conte si affida a lui per ribaltarla e il cambio arriva sì, ma tardivo, al minuto 77.
La stagione finisce così, con l'amaro in bocca per una finale persa, con un Eriksen scontento e con tanti tifosi segnati dal punto interrogativo riguardante la situazione del trequartista danese. Le giornate di campionato trascorse sono 4 ed Eriksen è sceso in campo come titolare solamente alla prima giornata, offrendo una prestazione insufficiente, che ha sicuramente influenzato Conte nelle scelte successive.
Il derby forse è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, per l'atteggiamento con cui è entrato Eriksen in campo, quasi a dimostrare che il non piacersi con il proprio allenatore è reciproco. Ora sorge spontanea la domanda: <<È recuperabile questa situazione?>>
Le storie di Conte ed Eriksen suggerirebbero una risposta negativa per la natura completamente differente dal punto di vista calcistico dei due. L'allenatore leccese vuole giocatori di gamba che sappiano ribaltare l'azione, che pressino continuamente e che siano molto lineari. Questo per potersi calare efficacemente nel sistema di gioco contiano, sulla carta un 3-5-2 trasformabile in 3-4-1-2, dove meccanismi e movimenti sono studiati maniacalmente, con i giocatori obbligati a replicare il pensiero del proprio allenatore, con poco spazio a preziosismi e virtuosismi tipici invece del calcio qualitativo del danese.
La scuola Ajax ha sicuramente influito nello sviluppare quest'idea di calcio in Eriksen, abituato nella sua carriera a giocare in squadre dove il possesso palla, l'uno due nello stretto, i colpi di tacco e la spettacolarità tecnica erano il pane quotidiano. Tutto ciò con nessuna licenza in fase difensiva di rientrare, o di pressare in modo asfissiante l'avversario, così come in Olanda anche a Londra con Pochettino.
Ed è in questi contesti che abbiamo visto l'Eriksen migliore nelle sue versioni, quel giocatore che ha fatto innamorare i patiti del calcio della bellezza tecnica, del lancio di 40 metri sui piedi, della bella punizione, del passaggio in profondità con il contagiri, o della botta da fuori sotto l'incrocio.
Questo era Christian Eriksen dalle giovanili del Middelfort, passando per Ajax e Tottenham, e finendo per la sua amata nazionale Danese, dove dice di sentirsi a suo agio come a casa sua, e come dargli torto...
La soluzione sarebbe forse una retromarcia di Conte sulla linearità del suo gioco in quel ruolo che tanti hanno dimenticato (il trequartista) per lasciar spazio alla fantasia e alla tecnica di uno dei centrocampisti più forti d'Europa, che a 28 anni non può essere relegato nei bassifondi della panchina.
La chance per mettere tutti d'accordo arriva stanotte, nel palcoscenico più importante d'Europa, la Champions. Arriva il MoenchenGladbach, ed Eriksen ha l'opportunità di ballare il valzer decisivo, lui che non a caso per la sua classe è stato presentato alla Scala di Milano. Si apra il sipario.
Le pagelle di Italia-Olanda
Italia
Donnarumma 6.5: Incolpevole sul gol degli Oranje, compie una gran parata sul destro a giro di Depay nel secondo tempo.
D'Ambrosio 5.5: Non grossi errori ma soffre le continue scorribande di Blind, e fatica a contenere gli inserimenti alle sue spalle di Wijnaldum, rimandato.
Bonucci 6: Va vicino al gol con la sua tipica zuccata su palla da fermo, in generale compie una buona gara in fase difensiva limitando notevolmente il gigante Luuk De Jong.
Chiellini 6.5 Nella seconda frazione, quando gli animi si scaldano e le energie diminuiscono, esce fuori il solito Giorgione. Sempre in anticipo sugli attaccanti avversari, una sicurezza.
Spinazzola 6: Una buona gara in fase difensiva e anche di spinta, contro un avversario non semplice ma conosciuto come Hateboer. Compatto.
Barella 7: Un motorino in mezzo al campo, il classico centrocampista moderno box-to-box, il migliore degli azzurri. Vedere per credere l'assist illuminante per l'1-0 firmato Pellegrini. Cresce di partita in partita, e non si ferma mai, chapeau.
Jorginho 5.5: La solita regia pulita e ordinata è un po' annebbiata nella serata di Bergamo, dove di nebbia ci si intende parecchio.
Verratti 5: Sarebbe da 6 per la volontà e l'impegno, ma da uno come lui con la sua qualità ci si aspetta di più. Troppo confusionario, commette errori di misura non da lui, inoltre l'ammonizione non se la fa mai scappare. Fuorigiri.
(Locatelli 6): Buon ingresso anche il suo, entra subito nel vivo del gioco e contribuisce nel finale alla causa.
Chiesa 5: Vale lo stesso discorso fatto per il suo connazionale precedente. Tanto fumo e poco arrosto per il neojuventino, forse distratto dalle critiche e minacce dei suoi ex tifosi. Ha bisogno di ritrovarsi.
(Kean 6): Entra bene in partita, belle 2-3 accelerazioni sulla fascia destra con relativi cross. Sicuramente un ottimo atteggiamento.
Immobile 4.5: Per un attaccante, basta trasformare un'occasione per fare un gol e beccarsi un 7 in pagella. Ciro ne ha tante, anche facili e le sbaglia tutte. Quando veste la maglia azzurra sembra trasformarsi nel brutto anatroccolo. Può e deve fare meglio.
Pellegrini 6.5: In quella posizione a Mancini piace tanto e in effetti non si sbaglia. Grande inserimento e stop nel gol del momentaneo vantaggio azzurro, dà continuità alla buona prestazione offerta con la Polonia. In attesa di Insigne può diventare l'arma in più di questa nazionale.
(Florenzi 6): Si piazza sulla fascia destra nel finale, e anche lui propone buoni cross dopo le relative discese.
Olanda
Cillessen 6.5: Anche lui non può nulla sul gol avversario, è decisivo però su Immobile e in altre 2-3 circostanze. Buona prova per un portiere che ultimamente si era un pò smarrito.
Van Dijk 6: Non sempre perfetto com'è solitamente, prestazione nel complesso sufficiente senza grandi sbavature.
De Vrij 5.5: Il più in affanno del terzetto arretrato di De Boer, sul gol di Pellegrini è lui a perdersi il romanista. Aveva già la testa al derby?
Akè 6: Limita Chiesa nell'uno contro uno, si fa saltare raramente nell'arco dei 90 minuti ed è pericoloso in area azzurra sulle palle da fermo.
Hateboer 5: Il suo grave errore ha dato la possibilità a Immobile di raddoppiare, per sua fortuna Ciro ha fallito clamorosamente. Partita nervosa in cui si annulla con Spinazzola sulla fascia destra, il gol di Pellegrini arriva da un taglio del romanista che parte dalla sua fascia di competenza.
Van de Beek 6.5: Lavoro oscuro per il centrocampista neo Red Devil, che nella mischia furibonda in area trova il gol del pareggio. Non si vede tanto ma c'è, vedi il tabellino dei marcatori.
F.De Jong 7: Un'eleganza nella conduzione del pallone che ricorda i centrocampisti più forti della storia. È un moto perpetuo per tutti i 90 minuti, giocatore di classe mondiale, e non a caso gioca nei blaugrana.
Wijnaldum 6: Si fà vedere spesso in inserimento soprattutto alle spalle di D'Ambrosio, gli manca però il guizzo finale per essere decisivo.
Blind 6.5: Primo tempo guardingo, nel secondo aumenta i giri del motore tutta l'Olanda, lui è uno dei migliori. Su e giù sulla fascia sinistra con buona tecnica, schiaccia D'Ambrosio. Dopo un pò non ne ha più e comprensibilmente viene sostituito.
(Veltman 6): Buoni interventi difensivi per il difensore del Brighton, che si fà trovare sempre nel posto giusto al momento giusto.
Depay 6: Giocatore di alto tasso tecnico, alcune sue giocate lo dimostrano. Non è semplice però contro due totem come Bonucci e Chiellini. L'olandese lo capisce e come gli piace fare, svaria tanto e finisce per perdersi un pò.
(Babel s.v.)
L.De Jong 5.5: Il gigante sevillista lotta e si sbatte nella morsa juventina come può, il suo gioco preferito è quello aereo ma trova clienti ostici e alla fine la sua prova risulta anonima.
Focus sui recuperi

Giornata di recuperi in Serie A nonostante si siano giocati appena due turni. Alle 18 scendono in campo Benevento e Inter al Vigorito, e Udinese-Spezia alla Dacia Arena. Alle 20:45 il big-match di questi recuperi tra Lazio e Atalanta.
Benevento-Inter
Entrambe le squadre si presentano al match cariche di adrenalina, dovuta alle pazzesche rimonte ottenute rispettivamente contro Sampdoria e Fiorentina.
Il ritorno in Serie A dei sanniti, pareva da incubo dopo i primi 18' di gioco, con il doppio svantaggio firmato Quagliarella-Colley. La doppietta di Caldirola poi, a cavallo tra primo e secondo tempo, e il gol di Letizia nel finale hanno regalato alla squadra di Pippo Inzaghi una vittoria insperata. Il Benevento ha avuto il merito di rimanere sempre in partita e con un gioco a tratti di buon livello, ha ottenuto i 3 punti.
Pare varrà la classica regola del "squadra che vince non si cambia" con Inzaghi pronto a replicare in blocco l'11 di Marassi. Modulo ad Albero di Natale con Insigne e Caprari alle spalle di Moncini, pronto a subentrare Marco Sau dalla panchina.
Antonio Conte e la sua Inter si presentano al Vigorito con un'unica certezza, il match di San Siro contro la Fiorentina ha detto che questa è ancora la Pazza Inter degli anni scorsi. Smentito quindi il tecnico leccese, che svariate volte ha voluto definire la sua Inter non più pazza ma equilibrata. Di equilibrio se ne è visto poco contro la Viola, con Ribery, Castrovilli e Chiesa che hanno imperversato su e giù tra le praterie lasciate dal centrocampo e dalla difesa neroazzurra. Per ovviare a ciò Conte potrebbe optare per una formazione meno offensiva cambiando vari uomini, ma non il modulo che ormai sembra essere assodato, sarà 3-4-1-2 anche stasera.
In difesa nonostante le sirene inglesi (Spurs) di mercato, potrebbe giocare Skriniar centrodestra con il ritorno di De Vrij al centro della difesa, e Kolarov a completare il pacchetto arretrato. A centrocampo praticamente sicuro l'impiego di Hakimi sulla destra, con Young dirottato a sinistra al posto di un poco convincente (nonostante l'impegno) Ivan Perisic. In mediana potrebbe rifiatare uno spaesato Brozovic in favore di un più difensivo Gagliardini, che con Barella e Sensi andrà a formare la cerniera italiana in mezzo al campo. La Lu-La dovrebbe essere confermata in avanti con uno scalpitante Sanchez pronto a subentrare a gara in corso.
Udinese-Spezia
Alcuni punti accomunano le due squadre che si sfideranno stasera alla Dacia Arena, non solo dal punto di vista cromatico dettato dal fatto che sono bianconere, bensì perchè entrambe arrivano da una sconfitta.
Di misura quella della squadra di Gotti contro l'Hellas, maturata a causa di un Lasagna spuntato e un po' di sfortuna, con due legni colpiti e svariate occasioni fallite. L'opportunità di riscatto arriva appunto contro lo Spezia in casa, con la nota dolente di una lunga serie di indisponibili. Ultimo ad aggiungersi in ordine temporale, il nuovo arrivato Arslan, vittima di un risentimento muscolare. Sarà sempre 3-5-2 con Ouwejan a rimpiazzare il turco a centrocampo, insieme all'imprescindibile De Paul e Coulibaly. Ter Avest e Zeegelar sulle fasce. In avanti, più Nestorovski che Okaka ad affiancare Lasagna.
Ha invece vissuto una sconfitta diversa lo Spezia, che si presenta al match reduce dal brutto k.o per 1-4 contro il Sassuolo. La squadra di Italiano è sembrata essere ancora un cantiere aperto, mancano innesti di esperienza in varie zone del campo, e il tecnico infatti confida nelle ultime giornate di mercato per ovviare a questa situazione. Si sono visti problemi di equilibrio e personalità, soprattutto in zona difensiva, basti pensare che a Caputo sono stati annullati addirittura 3 gol giustamente, ma per pochi centimetri. Il risultato sarebbe potuto essere più pesante. Unica nota positiva Galabinov, in gol e a un passo addirittura dalla doppietta personale.
Per il match odierno rientrano Terzi, Maggiore e Marchizza, con quest'ultimo che potrebbe scalzare un Ramos parecchio in affanno contro Berardi domenica scorsa. Verde e Farias insidiano Agudelo e Gyasi per un posto accanto al bomber Galabinov.
Lazio-Atalanta
la Lazio di Inzaghi torna dalla trasferta di Cagliari con tante certezze, con bomber Immobile in gol, e un Marusic rispolverato a sinistra, che non ha fatto per niente rimpiangere l'infortunato Lulic e il partente Jony. Patric dovrebbe essere confermato nei 3 dietro, con Luis Alberto e Milinkovic in mezzo al campo e Correa partner d'attacco dell'inamovibile Ciro Immobile.
L'Atalanta ha ricominciato come aveva terminato la stagione, a tutto Gasp, con una prestazione autorevole a Torino. Dopo aver espugnato l'Olimpico Grande Torino, spera ora di poter vincere anche nell'Olimpico più classico. L'assenza nei 3 davanti di Ilicic non si è fatta sentire, con un Luis Muriel in grande spolvero, e i soliti gol dei centrocampisti (De Roon, Hateboer) a far da cornice a un gioco spettacolare. Proprio il colombiano però, potrebbe partire dalla panchina con Pasalic più che Malinovsky, ad affiancare il Papu e Zapata davanti. In difesa torna Djimsiti al posto di Caldara con Toloi e Palomino.
Ibra gol il Milan c'è!

Il Milan archivia la pratica irlandese Shamrock Rovers vincendo per 2-0 al Tallaght Stadium. Nella periferia est di Dublino, rigorosamente senza pubblico negli spalti, la squadra di Stefano Pioli comanda la partita per tutti i 90 minuti e manda segnali positivi per l'inizio del campionato.
Dopo il brivido iniziale firmato Greene, passa in vantaggio al 23' con il solito Zlatan Ibrahimovic, imbeccato da un assist al bacio di Calhanoglu. I rossoneri ricominciano sulla falsariga del finale della scorsa stagione, prendendo in mano il pallino del gioco e mettendo alle strette gli irlandesi, attraverso un possesso palla fatto di scambi stretti, rapidi e veloci, la chiave di volta nei due gol della serata.
Il raddoppio è firmato da Calhanoglu al minuto 67 con un tiro dal limite dell'area, su gentile assistenza di Alexis Saelemaekers. Il turco entra due volte nel tabellino del match sia nelle vesti di assist-man che di goleador, confermando l'ottimo finale della scorsa stagione.
Per la squadra di Pioli appuntamento giovedì sera a San Siro contro i norvegesi del Bodo/Glimt, vittoriosi per 3-1 nel match delle 18 contro lo Zalgiris Kaunas.
Nel resto dei match vittorie esterne rotonde per Granada, Glasgow Rangers e Galatasaray. Gli Spurs di Josè Mourinho rischiano in terra bulgara, andando sotto a 20 minuti dal termine, ci pensa Kane su rigore, Ndombelè nel finale, e le due espulsioni nelle fila bulgare a dare un po' di fiato allo Special One, che attende il ritorno di Bale dal Real Madrid. Passano in rimonta anche i danesi del Copenaghen 2-1 sul campo del Goteborg.
Impossibile non menzionare la partita pazzesca con punteggio tennistico, giocata in Serbia, dove servono i calci di rigore per decidere la qualificata tra Backa Topola e FCSB (ex Steaua Bucarest). Dopo la lotteria dal dischetto sono i romeni a passare con il rigore decisivo di Dennis Man autore di una tripletta tra tempi regolamentari e supplementari.
I serbi scappano sul 2-0 nei primi 15', accorcia subito Coman e al 44' Ponjevic lascia i suoi in 10. Man la pareggia al 51', un minuto dopo Antonic fa 3-2 ma Man trova nuovamente il pareggio dal dischetto al 63'. Un autogol di Balaz al 93' sembra condannare i padroni di casa, che però nell'ultimo assalto trovano il rocambolesco 4-4 con Tomanovic.
Si va ai supplementari con l'espulsione di Siladji e il Backa Topola addirittura in 9. Man trova la personale tripletta, ma nel recupero del primo tempo supplementare è Tumbasevic a firmare il clamoroso 5-5. Petre al 108' sembra scrivere la parola fine sul match trovando il gol del 5-6, ma è ancora Tomanovic con la forza della disperazione a trovare il pareggio finale sul 6-6 in 9. Pazzesco.
News di mercato odierne

Continuano senza sosta le trattative di mercato anche quest'oggi, con varie ufficialità arrivate. Una delle più importanti nel nostro campionato il ritorno di Borja Valero alla Fiorentina, le coordinate di Firenze che lo spagnolo si tatuò per amore della città lo hanno riportato a casa, vestirà la maglia numero 6. Per rimanere in tema viola, l'ex centrocampista Milan Badelj approda al Genoa, firmando con il Grifone fino al 2023, arrivano anche Goldaniga e Melegoni. A un passo anche Rick Karsdorp dalla Roma e si sta tentando di convincere la Juve per Marko Pjaca.
Nella Capitale invece è tempo di visite mediche a Villa Stuart per Marash Kumbulla che è a un passo dalla Roma. In uscita Cengiz Under a un passo dal Leicester per una cifra intorno ai 27 milioni di euro. Fatta per Vedat Muriqi ora la Lazio si concentra sull'ultimo passo della trattativa per l'arrivo dell'esterno Mohamed Fares che, sostenute le visite mediche di rito, potrà apporre la firma sul contratto.
La Juventus data la situazione di stallo nella trattativa per Edin Dzeko, strizza l'occhio al campione del mondo in carica Olivier Giroud in uscita dal Chelsea, con Luis Suarez sullo sfondo che ormai rimane più un'utopia che una realtà. Sempre a Torino sponda granata, ufficiale l'arrivo in prestito con diritto di riscatto di Nicola Murru dalla Sampdoria.
Le milanesi restano concentrate sui propri obiettivi con l'arrivo di Vidal a Milano sponda nerazzurra, che continua ad essere rinviato di giorno in giorno, oggi pare per un intoppo fiscale, ma la sensazione è che si dovrebbe chiudere. Il Re Leone Llorente potrebbe essere la quarta punta di ruolo per Antonio Conte. Per quanto riguarda i rossoneri, assodato l'interesse per Milenkovic e il sogno Chiesa, dopo l'acquisto di Tonali si cerca di convincere Commisso ad abbassare le richieste per entrambi i suoi gioielli.
Il Napoli continua a provare a sbrogliare la matassa Milik, con il polacco che rifiutata la Roma, sta creando più di un problema alla causa partenopea che ha già investito parecchio sul mercato e ha bisogno di fare cassa.
Nel mondo delle neopromosse lo Spezia particolarmente attivo, chiude infatti gli arrivi di Agudelo, Verde ed Estevez regista dall'Estudiantes.
La dura legge dell'ex

È da poco passata la mezzanotte, di una calda e umida sera di metà settembre. In una stagione anomala che prende il via parecchio in ritardo non si parla di soste per gli impegni delle nazionali (tipiche di questi tempi), bensì si tirano le somme della fase semifinale dei preliminari di Champions League.
E oltre alla solita vecchia volpe del calcio Mircea Lucescu che porta la sua Dinamo Kiev alla fase finale superando l'AZ Alkmaar per 2-0, e al successo del Gent 2-1 sul Rapid Vienna, c'è una storia che mi ha colpito particolarmente e che voglio condividere con voi.
L'arcano si sviluppa nel terzo match della notte appena trascorsa, Paok Salonicco-Benfica, in casa dei greci. Campo difficile con un'atmosfera infuocata, basti pensare all'energico ormai ex presidente Savvidis sceso in campo con una pistola alla cintola due anni fa e ora squalificato. Il Benfica ha ben approfittato della situazione legata al Covid-19 per presentarsi in uno stadio che da solito calderone infuocato qual'è, è passato a mera cornice delle voci dei tecnici e dei giocatori.
La partita tuttavia in campo è stata vera, e ha premiato a sorpresa i padroni di casa vittoriosi per 2-1. Prosegue la maledizione di Bela Guttman per i lusitani, che addirittura in questa stagione non riescono a centrare la qualificazione alla fase a gironi di Champions League. Obiettivo minimo per la banda di Jorge Jesus, il Cristoforo Colombo della panchina, reduce dai trionfi in terra brasiliana con il Flamengo, soprattutto dopo il mercato estivo attuato dalla dirigenza, che non si vedeva da tempo a Lisbona. Gli arrivi dell'esperto centrale di difesa belga Vertonghen, di Pedrinho e Everton rispettivamente da Corinthians e Gremio, e del giovane attaccante tedesco Waldschmidt avevano dato grosse aspettative relazionate appunto agli investimenti economici fatti. Addirittura per un certo periodo del mercato si fece avanti l'ipotesi di un possibile arrivo del Matador Cavani, a dimostrazione di quanto fosse attiva la squadra lusitana in questa sessione di mercato.
A decidere la sfida con il gol del momentaneo 2-0 risultato poi decisivo per le sorti dell'incontro è un figliol prodigo, Andrija Zivkovic. Il serbo ha giocato un brutto scherzo alla sua ex squadra, che lo aveva svincolato proprio ad Agosto dopo 4 anni di convivenza con un feeling mai sbocciato. 54 le presenze, 3 i gol, e tante le apparizioni da subentrato poche quelle da titolare. Il classe '96 si è però preso la sua vendetta, che magari avrà preparato dopo aver visto le palline di Nyon giocare uno scherzo del destino e mettere di fronte il suo passato e il suo presente, e l'ha servita fredda come fanno i più spietati killer in questa appena trascorsa notte europea. Non è bastata la rete di Rafa Silva al 94' a ribaltare le sorti di un match ormai andato, dopo che il Paok l'aveva sbloccato con Giannoulis.
Come spesso accade (vedi Coman col Psg) il talento lo si ha in casa e lo si lascia sfuggire per poca fiducia o per qualche nome di mercato appetibile che poi alla fine non sazia, e la maledizione continua...